lunedì 27 ottobre 2008
♥ Senza titolo, perchè non mi viene
Tamburello sul tavolo per ingannare l'attesa. L'attesa di scrivere, la paura di scrivere e lasciare scivolare fuori tutto quello che mi sta passando per la testa. Il cervello si arrovella, fa la lista delle possibilità, delle probabilità e delle sconfitte. Fa un elenco puntato ordinato, che però io scompiglio perchè non c'è niente di ordinato, se non il mio dolore. Le mille ipotesi e le congetture formano uno schema che sembra sempre non quadrare. Da ogni lato c'è sempre qualcosa che manca. Non c'è soluzione o rimedio nè a breve nè a lungo termine. Nel perenne ciclo delle cose, si inizia, si vive, si chiude e si ricomincia. En el cambio está la evolución. Si torna sempre lì. Anche quando non vorrei, anche quando tutto è rovinato e vorrei rimettere tutto a posto. Cambiare sì, ma non così. E, invece, più ci penso, più mi sforzo, più ritornano sempre le stesse risposte alla fine degli elenchi puntati. Soffro sì e non sono l'unica. Un misto di delusioni e sogni spezzati, che credevo tanto veri e realizzabili. O forse solo mi prendevo in giro, per sfidare la realtà e poterle ridere in faccia. Io ce la volevo fare ad ogni costo. Ho sbagliato, sì. Potevo fare delle scelte ed evitarne altre. Ma tutte queste sagge considerazioni le puoi fare solo dopo. E adesso? Tamburello sul tavolo con l'occhio languido, pensando a ciò che è perso. Mi sono lasciata trascinare, perchè sono così. Un ciclone che si lascia trasportare. Un ciclone che trascina più se stesso che il resto. Un ciclone che deve imparare anche da questo, per riacquistare forza e tornare a vorticare.
Intanto mi riposo, aspettando il titolo del prossimo post, perchè questo proprio non mi viene.
Gnigno Kleenex
Intanto mi riposo, aspettando il titolo del prossimo post, perchè questo proprio non mi viene.
Gnigno Kleenex
Etichette: I'm moved, riflessioni, writings
Stavo rileggendo una cosa che avevo scritto solo pochi mesi fa...
e pensavo invece a come vedo la realtà ora...
che strano...
a volte basta davvero solo un sorriso per cambiarti la vita...
pensa quanta responsabilità che si da alle persone... eheheh
pensa a quanta felicità si ottiene solo per un corto circuito mentale...
pericoli in cui ti butti dentro con piedi e mani legate...
magari stai cadendo da qualche parte...
ma l'unica cosa che pensi non è dove e come cadrai...
pensi solo al fatto che stai volndo...
e volare è stupendo perché non è naturale, non è cosa da tutti...
e spesso siamo noi a mattere questa bacchetta magica in mano di altri!
vabbé dai ti giro queste righe...
magari ci trovi dei tratti comuni...
la cosa assurda è che credo che tante cose siano ancora vere...
ma dall'altra assolutamente no...
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A volte non è facile fermarsi veramente a riflettere sul corso degli eventi.
Le cose accadono, incessantemente, tutti i giorni.
Forse accadono perché devono accadere, come espressione ultima del nesso di causalità;
forse accadono perché accadono, quindi sole manifestazioni di casualità.
Sta di fatto che accadono.
Spesso allora ci si chiede: ha veramente senso domandarselo?
Tendenzialmente una mente razionale, lontana dall’oppio della fede religiosa, risponde con veemenza. Immediato è il grido, fermo e deciso: “Sì, ha senso”.
Ed è proprio in quel momento che si articolano pensieri, sorgono dal nulla impensati problemi e, parallelamente, si sviluppano teorie, si declinano ipotetiche soluzioni.
Alla fine si agisce e si grida sorridendo: “Eureka”.
La cosa bella di un percorso razionale è che, date le premesse, solitamente ci sono solo poche varianti di percorso verso l’unica soluzione ontologicamente certa.
Poi invece arriva la vita, quella interiore, quella più vera.
Arriva la Vita, quella fatta di sensazioni, sentimenti, ed emozioni.
È metafisica.
È un qualcosa di immateriale.
È un qualcosa di ingestibile.
È un qualcosa di imprevedibile.
È un qualcosa di spirituale.
È un qualcosa che vivi pienamente senza rendertene eccessivamente conto.
Poi una bella mattina ti alzi e ti accorgi che non ci sono più certezze in cui credere, non ci sono più sogni di cui illudersi. Tutto viene improvvisamente meno.
Dicono che delle dimensioni della bellezza di una “cosa” uno se ne accorga sono nel momento in cui l’ha persa.
Che fregatura allora questa vita.
Che amaro che lascia in bocca.
Vive meglio chi vive poco, forse.
Vive meglio chi non ci pensa troppo, anche.
La Vita.
La si vive senza rendersi conto di ciò che si ha e di ciò che è effettivamente “bello”.
Tutto questo assurdamente per passare la maggior parte del tempo a rincorrere il fugace, il momentaneo, l’etèreo.
Quanti inutili problemi si avvinghiano fra di loro ora dopo ora.
Quanto tempo si spende per capire qual’è la giusta soluzione.
Quanto stupidi si è a pensare che quelli siano davvero i Problemi.
Per dirla alla nietszchiana si rincorre l’apollineo ed il dionisiaco.
Interessante e creativo, ma non serve a nulla.
Le cose importanti sono altre.
La vita è una maestra severa.
Pensavo che fosse bello.
Ma non è affatto così.
Non si può non imparare anche perché difficilmente ci sono seconde occasioni.
Se viene a mancare la “cosa” principale attorno alla quale tutto deve girare ti accorgi allora che il resto non ha troppo senso.
Anzi non ha senso.
Che brutto arrivare tardi.
Ed è così che scopri il significato della parola Amore.
L’amore è proprio questo.
È il senso ultimo della vita.
O forse il senso primo.
L’Essenza reale.
Henri Beyle, al secolo Standhal, diceva: “L'amore è un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio”
Sapeva bene cosa stava dicendo.
Aveva sofferto tanto questo signore.
È cosa per furbi questa vita.
È cosa per svegli.
C’era quel poeta latino, Orazio, che diceva “Carpe diem”.
Che coglione!
Cogliendo l’attimo non si costruisce l’eternità.
A forza di attimi slegati fra di loro poi si arriva ad un punto morto.
Ed è triste davvero.
Ungaretti diceva: “Si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie”.
Aveva ragione.
Almeno io mi sento così.
Mi sento una foglia marrone in una stagione di passaggio.
Mi sento leggero pronto per farmi trasportare dal vento verso luoghi indefiniti.
Mi sento indifferente rispetto al flusso degli accadimenti.
Sei lì, appeso ad un ramo, sai che devi cadere, sai che il vento da qualche parte ti porterà.
Vivi per sopravvivere.
La natura insegna molto.
Dà un chiaro esempio del corso della vita.
Ogni singolo istante, ogni granello di polvere che svolazza invisibile non è altro che un grande monito a tutti gli esseri viventi dotati di capacità cognitiva.
Quella particella apparentemente insignificante può cambiare tutto nella nostra esistenza.
Che strano.
Davvero.
Ma tante volte si è presi da altro.
E succede proprio così sai: non ti accorgi più delle priorità o della gerarchia delle “importanze”.
In un solo attimo sei fregato.
Una volta mi sentivo un albero.
Un albero grande e forte.
L’albero non si sposta.
L’albero è sicuro.
Ma, illudendosi di essere, non necessariamente si “è”.
Sembra complesso, ma è così.
Alla fine mi sono svegliato ed ho capito che non sono quello che vorrei essere.
E questo è un dato di fatto.
Forse anche questa cosa delle ambizioni è un po’ una fregatura.
Forse conviene vivere un po’ come diceva Pascal nella sua scommessa.
Scegliere sempre il male minore.
Sicuramente è il modo più cauto.
Meglio cadere dalla terrazza del primo piano che dall’attico del più grande grattacielo.
Ci sono più speranze di vita.
Che strana questa vita.
Uno sguardo sbagliato, una risposta sommaria, un piccolo problema irrisolto pian piano cominciano a cozzare fra di loro, aumentano di volume e diventano ingestibili.
Viglio fare un blues del poeta inglese Wystan Auden:
“Fermate tutti gli orologi
isolate il telefono
fate tacere il cane con un osso succulento.
Chiudete i pianoforti
e tra un rullio smorzato,
portate fuori il feretro.
Si accostino i dolenti.
Incrocino aeroplani, lamentosi, lassù
e scrivano sul cielo il messaggio:
L’Amore è morto.
Allacciate nastri di crespo
al collo bianco dei piccioni.
I vigili si mettano
guanti di tela nera.
Lei era il mio nord, il mio sud,
il mio est e ovest,
la mia settimana di lavoro
e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte,
la mia lingua, il mio canto.
Pensavo che l'amore fosse eterno
e avevo torto.
Non servono più le stelle,
spegnetele anche tutte,
imballate la luna,
smontate pure il sole,
svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco
perché ormai più nulla può giovare.”
Tante verità in poche righe.
Ma sono solo tante parole che sprecano il tempo di chi scrive e di chi legge.
Però in realtà quando uno ormai non da più senso al tempo può permettersi di perdere tempo.
Le parole sono accozzaglie di lettere che non saranno mai in grado di esprimere l’entità dei sentimenti.
Le parole, su questo argomento, non sono mai precise.
Ed anche questa è una bella fregatura
Non c’è un capo ne una fine in questo lungo discorso.
Ci sono solo sensazioni ed idee confuse e rinfuse.
Sono messe lì.
Sono uno stimolo.
Sono forse semplicemente quello che devono essere.
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